Far esperienza di vita da single, provare a “vivere” la solitudine è un’ ottima opportunità di crescita.

Molte sono le donne che non sono mai state sole. Fidanzate giovani, passate da un fidanzato all’ altro e poi sposate uscendo direttamente dalla casa familiare.
Non hanno mai sperimentato il vivere sole con sé stesse, imparando a cavarsela in ogni circostanza, a prendersi cura di sé, a diventare realmente autonome ed indipendenti. Sono spesso le stesse donne che guardano alla condizione di single come ad una condizione di cui vergognarsi e la rifuggono come se fosse ciò che di più terribile possa capitare ad una donna. Associano l’idea della solitudine a quella di tristezza, isolamento e rifiuto. Magari si costringono, o lo fanno inconsciamente senza rendersene conto tanto inconsapevoli sono, a rimanere dipendenti da uomini che non amano più e di cui prosciugano le energie con la loro bisognosità. Oppure si buttano fra le braccia di uomini che non fanno per loro pur di non sentire i loro vuoti interiori.
Sono donne mai cresciute per davvero, incapaci di vivere contando solo su se stesse, che non hanno ancora imparato a colmare i propri vuoti e a superare la paura di non farcela da sole. Donne che a dispetto della maschera che spesso indossano hanno un’autostima carente.

Stare sole

Credo sia invece importantissimo sperimentarsi in questo senso senza aver timore che la singlitudine diventi una condizione permanente alla quale doversi abituare o rassegnare.
Crescere, diventare grandi, indipendenti e realizzate, sapendo anche rimanere sole quando serve o quando la vita ce lo impone in qualche modo, trovare la propria strada giusta non avendo bisogno di nessun altro per sentirsi complete, appagate, soddisfatte dalla vita, autonome è la premessa per far funzionare poi un rapporto di coppia. Finchè si è in uno stato di bisogno ed emotivamente non in equilibrio non saremo nella situazione ideale per trovare la persona giusta con cui condividere la vita. Quelli che proveremo saranno innamoramenti apparenti, illusori e al “risveglio” dolorosi per entrambi i partner. Chi crede di essere innamorato ma in realtà si appoggia inconsciamente ad un partner per fuggire da una situazione o dalla casa di una famiglia d’origine in cui non si sta bene o dalla solitudine o più coscientemente dalla mancata autonomia economica non è davvero innamorato, è affetto da dipendenza. Siamone consapevoli. E l’innamoramento non potrà durare a lungo. Subito la relazione si incrinerà e inizieranno i malumori, i problemi, le incomprensioni, le insofferenze.

Se avremo trovato la strada per sentirci felici e in armonia con noi stesse attireremo persone altrettanto felici di vivere e in equilibrio, pronte ad affrontare la quotidianità con positività e spirito costruttivo. Se invece saremo scontente, lagnose, insicure, bisognose attireremo persone sulla stesso nostra frequenza, ovvero uomini cupi, dubbiosi, sempre alla ricerca di una fonte da cui attingere nuova energia. Una prospettiva che non credo possa regalare felicità.

Essere persone che hanno imparato a sviluppare tutte le proprie potenzialità, a soddisfare i propri bisogni, a direzionarsi per realizzare i propri sogni, a vivere in pienezza ci porterà poi a trovare la persona con cui condividere questa vita giusta per noi.
Il rapporto che ne uscirà sarà un rapporto arricchente e di crescita.

Il tempo di singletudine è un tempo prezioso, di profonda intimità con sé stessi, un tempo in cui focalizzarsi sul proprio io interiore per dare ascolto ai propri bisogni e alle proprie aspirazioni, chiarire i propri pensieri, fare scelte consapevoli, liberarsi dai condizionamenti e cogliere tutte le opportunità di sviluppo e di evoluzione per fortificarci, migliorarci e nutrirci.
La riuscita di una relazione dipende anche dalla realizzazione di ciascuna delle due parti della coppia.

Se nella relazione si hanno delle aspettative, legate al desiderio di trovare nell’altro la cura ai propri irrisolti, alle proprie insicurezze, ai propri vuoti d’amore che ci si porta dietro dalle proprie storie familiari, se l’unione è più un aggrapparsi l’uno all’altro non può filare tutto liscio come l’olio.
Sarebbe come essere due naufraghi che in mare aperto si aggrappano l’uno all’altro per sostenersi e impedirsi di annegare. Ma in mare aperto rimangono. Entrambi dovrebbero imparare a nuotare da soli per salvarsi. Se non lo fanno e a fianco ad uno dei due passa una zattera questi può anche decidere di salirci e di allontanarsi lasciando l’altro solo a lottare fra le onde. E a quel punto la situazione per chi rimane in mare aperto si può far drammatica. Le forze possono venir meno.

Allo stesso modo ricordiamoci che i vuoti d’amore sono come dei vasi fallati che hanno bisogno di essere continuamente rabboccati perché tanta acqua entra, tanta ne esce se la falla non viene aggiustata a dovere.
Camminare nei propri deserti interiori, sperimentare, imparare a nuotare non solo per rimanere a galla ma per raggiungere i traguardi scelti consapevolmente è essenziale.

Io ho imparato che questo percorso avrei dovuto farlo da sola senza sfuggire alle mie responsabilità prima di pensare ad un “noi” con l’uomo di cui mi ero innamorata. Esattamente come non si fanno figli per salvare un matrimonio, così non si fa un matrimonio per scappare dai propri irrisolti.
Star bene con noi stesse, trovare il proprio valore, realizzazione, costruire la propria felicità è il primo passo per star bene poi in coppia. Se riusciremo a creare il nostro personale benessere irradieremo luce che, come riflessa in uno specchio, si moltiplicherà. Quando ci basteremo, quando la nostra vita sarà la celebrazione dei nostri desideri allora la nostra felicità attirerà persone felici.