Non vi capita mai, dopo un dialogo, scrive Jacques Salomé, di trovarvi alle prese con un angoscia sorda o una collera indicibile che rischia di esplodere in modo violento? Vi è un grande divario infatti fra ciò che si vive e come si riesce a parlarne, fra ciò che si ha intenzione di dire e ciò che esce dalle nostre bocche, fra ciò che si dice e ciò che il nostro interlocutore recepisce, in base alle sue percezioni e ai suoi riferimenti. Cosa avrà compreso? Forse lo scopriremo a bocca aperta, esterrefatti, soltanto dopo giorni o settimane.
In ogni dialogo ci saranno rischi di distorsioni e di malintesi fra ciò che penso, ciò che vivo o provo e ciò che sono in grado di dire.
Fra ciò che effettivamente dico, con i miei mezzi espressivi, e ciò che l’altro coglie e comprende.
Fra ciò che io credo che l’altro abbia recepito e ciò che egli pensa che io pensi che lui abbia colto.
Quando non mi sento ascoltato o non mi sento capito, ne sono in parte responsabile anch’io dunque, perché forse mi sono espresso in modo poco chiaro, o troppo indiretto, sperando che l’altro comprendesse con certezza ciò che volevo comunicare.