In un consulto si usano le chiavi della Metamedicina quando si vuole andare a ritrovare in profondità la causa emotiva che ha fatto insorgere un disturbo fisico o quando si vuole scoprire l’equazione inconscia sfavorevole, scritta dentro di noi a seguito di un evento o di un’esperienza che ci ha molto colpito emotivamente e che ci guida nella nostra inconsapevolezza e ci fa vivere un malessere relazionale o un disagio esistenziale.
Durante il consulto viene dapprima focalizzato il bisogno di chi viene in cerca di aiuto, il motivo dunque per cui chiede l’incontro. Poi, attraverso le chiavi della Metamedicina, si inizia un colloquio fatto di domande pertinenti che aiuteranno la persona ad entrare in profondità dentro sé stessa, in ascolto di sé e delle proprie emozioni. Fino ad andare a ritrovare il sentimento che potrebbe governare la sua vita, la ferita o il copione ripetitivo, la credenza non funzionale o il meccanismo non consapevole che la guida nell’affrontare la vita, i rapporti con gli altri e con sé stessa.
E’ bene ricordare che le chiavi di cui sto parlando sono solo delle possibiltà. L’approccio della Metamedicina è un approccio induttivo. Siamo tutti diversi gli uni dagli altri, ognuno col proprio background socio-culturale, con l’educazione ricevuta, con la sua storia familiare ereditata e assorbita nel profondo fin da quando si era nella pancia della mamma. Dunque le chiavi sono solo una possibilità, una linea guida che ci aiutano nel colloquio. Da qui l’importanza delle domande che servono come strumento maieutico a trovare il vissuto unico, ineguagliabile che vive la persona in consulto e che è da comprendere e da riarmonizzare.
Si possono scoprire circoli viziosi in cui siamo rimasti incastrati in qualche modo, eventi che riemergono da una memoria lontana che ci hanno condizionato nelle scelte o che, poiché dolorosi, ci hanno costretto in una posizione o in un comportamento difensivo. Si possono individuare delle equazioni a noi sfavorevoli che sono lì come credenze scritte nella nostra memoria limbica emozionale e che dirigono ogni nostra decisione, solo apparentemente libera.
Facciamo un esempio. Se abbiamo sempre visto fin da piccini mamma e papà che lavoravano tantissimo, sempre dedicandosi ai bisogni di tutti, senza mai concedersi riposo, un piacere o un desiderio, può essere che abbiamo registrato dentro di noi che la vita è sacrificio e che si “deve” vivere per il “dovere”. Può essere così che si finisca di essere sempre nel fare. E se andiamo in vacanza ci ammaliamo, se ci concediamo qualcosa per noi o ci dedichiamo a noi ci sentiamo in colpa e ci autosabotiamo per espiare la sensazione di essere stati egoisti e per aver pensato a noi stessi.
Sotto ai sensi di colpa, al senso di inadeguatezza, all’incapacità di dire di no, al sentimento di sentirsi inferiori, o alla tendenza a svalorizzarsi sempre, alle dipendenze affettive ci sono sempre equazioni da andare a ritrovare per trasformarle e comprendere la lezione da integrare. C’è tutto un vissuto emotivo intorno a queste equazioni da andare ad accogliere e curare.
E’ questo che si fa con l’approccio della Metamedicina. Un approccio straordinario, potente e buono perchè non dà colpe a nessuno ma invita ciascuno a riprendersi la propria parte di responsabilità. Un approccio che non cura. Curare è mettere una pezza. E’ aumentare la corazza per andare avanti. Fino alla prossima caduta. E’ invece un approccio che guarisce. Aiuta le persone a lasciare andare quelle zavorre che ci impediscono di essere ciò che siamo, liberi dal risentimento, dalle paure e protagonisti della propria vita.