Spesso significa rinunciare alla speranza, così radicata in noi, di essere capiti senza che sia necessario esprimerci.

Rinunciare alla pretesa che l’altro, a dimostrazione dell’amore che dice di provare per noi, sappia di cosa abbiamo bisogno. A volte le nostre necessità ci sembrano così ovvie che se l’altro non arriva a soddisfarle pensiamo che semplicemente non voglia farlo. E ci sentiamo deluse.

Chiedere significa anche accettare il rischio che a richiesta possa seguire un rifiuto che ci ferirebbe.

Altre volte chiedere implica credersi meritevoli di ricevere e ricevere può anche voler dire sentirsi debitori, obbligati a contraccambiare in modi non in linea col nostro modo di essere.

E’ possibile che pensiamo che i nostri bisogni siano indizi di inadeguatezza e fragilità, cosa che mina il nostro volerci percepire forti, capaci e autonomi.

Spesso siamo stati educati a non chiedere e a censurare i nostri desideri. Ci è stato insegnato che chiedere non è dignitoso o è pretenzioso.

“L’erba voglio cresce solo nel giardino del re”, mi sono sentita dire innumerevoli volte da bambina.

È così che, non avendo imparato a chiedere, quando poi decidiamo di farlo, lo facciamo nella maniera sbagliata.

I mezzi preferiti da molti per manifestare le proprie richieste sono l’accusa, la lamentela, la colpevolizzazione e il rimprovero.

Degli esempi?

” Non mi porti mai fuori a cena”.

” Faccio tutto io in questa casa e arrivo alla sera che sono stremata. Come vorrei che qualcuno cucinasse per me una volta ogni tanto”.

Esprimere un proprio bisogno associandolo ad una nostra difficoltà o a un nostro desiderio con cortesia, senza manipolazioni, senza pretese, lasciando libero l’altro di pensarci e di rispondere con le sue modalità o con le eventuali sue controproposte è il modo migliore per ottenere.