Comunicazione empatica

Avere una comunicazione empatica ci aiuterebbe ad avere relazioni più semplici, profonde, nutrienti ed appaganti.

Tutto ciò che fa parte della mia vita in questo momento mi parla di responsabilità o meglio di respons-abilità!

Il coaching, la metamedicina.

Ciascuno di noi è responsabile della propria vita, della propria salute fisica, emotiva e psicologica. Dunque del proprio corpo, delle proprie emozioni e sentimenti, dei propri pensieri e delle proprie azioni e reazioni. Anche del proprio linguaggio interiore e della comunicazione che agiamo con gli altri con cui entriamo in interazione. La prima fra tutte le responsabilità che abbiamo è renderci conto che “tutto cambia” ed è in nostro potere dirigere come desideriamo questo cambiamento, lavorando su noi stessi, sui nostri pensieri, parole e azioni.

Oggi desidero riflettere su alcune caratteristiche che la nostra comunicazione, per essere empatica, dovrebbe avere. Imparare ad usare un linguaggio empatico ci può essere davvero utile per riuscire a vivere relazioni più profonde, rispettose e nutrienti.

Troppo spesso ci dimentichiamo che le parole possono essere delle armi molto sottili, capaci di infliggere ferite interiori profonde. Quante volte abbiamo sperimentato che certe frasi che ci sono state dette anche molto tempo addietro, fin dal periodo dell’infanzia ce le abbiamo dentro e ancora ci fanno male e son diventate l’emblema di una rapporto che funzionava male? Anche le parole che ci possono sembrare innocue, se pronunciate di corsa e in malo modo, possono essere interpretate dall’altro in modo non appropriato ed essere sentite come coltelli affilati.

È per questo che bisognerebbe esprimersi solo quando siamo sicuri di cosa vogliamo dire, solo dopo aver fatto un’attenta valutazione  della situazione e della necessità di parlare.  Anche le parole che pronunciamo nei nostri dialoghi interiori possono arrecarci dolore e diventare profezie o condizionamenti che influenzano il nostro agire.

È empatica una comunicazione scevra di giudizi moralistici, di critiche, di interpretazioni, di etichettature, di paragoni, di diagnosi, di generalizzazioni. Quando vogliamo comunicare in modo empatico con un’altra persona dobbiamo ricordare di porci di fronte a ciò su cui vogliamo confrontarci nel modo più oggettivo possibile, senza valutazioni. Possiamo esprimere come ci sentiamo di fronte  a tale situazione, qual è il nostro bisogno per poter alla fine rivolgere all’altro la nostra richiesta affinchè quel bisogno possa avere la possibilità di essere soddisfatto.

Ciò presuppone la capacità da parte nostra di rimanere in contatto con noi stessi per ascoltarci e interrogarci su ciò che proviamo, per poter esprimere poi con chiarezza e specificità le nostre emozioni di fronte a ciò che vediamo e sentiamo. Riuscire ad esprimere i nostri sentimenti e i bisogni che stanno sotto a questo sentire è l’occasione che abbiamo per sentirci capiti da chi ci sta di fronte. Spesso non riusciamo ad esprimerli, ci vergogniamo, abbiamo paura di ricevere in cambio delle critiche. Come se i nostri bisogni fossero sinonimo di fragilità. Esprimendoli a volte temiamo anche di deludere gli altri e, poiché spesso ci sentiamo responsabili di ciò che loro provano e della loro felicità, non ci diamo il diritto di comunicarli. Quando ci iniziamo a liberare da questa responsabilità  e ci assumiamo il rischio di deludere gli altri, ci rendiamo liberi di esprimere i nostri bisogni pur nel rispetto di quelli altrui. Non potremmo soddisfare i nostri a spese dei loro, ma nemmeno ignorare i nostri per la loro felicità. Alle necessità altrui possiamo rispondere con empatia ma mai per paura o per senso di colpa.

Se riusciamo ad esprimerci liberamente, superando la paura di farci vedere fragili nel momento in cui manifestiamo le nostre emozioni, in realtà scopriremo presto che è più facile che gli altri provino empatia per noi. Rendiamoci conto che spesso le relazioni non funzionano perché siamo incapaci per primi a dimostrare con chiarezza i nostri sentimenti e i nostri bisogni e successivamente, sentendoci frustrati per la loro non soddisfazione, critichiamo il comportamento degli altri nei nostri confronti e puntiamo il dito su quelli che riteniamo i loro sbagli.

Ho scritto che è necessario aver chiarezza su ciò che proviamo ma altrettanto importante è aver chiaro ciò che desideriamo dagli altri. Tanto più ci è evidente quello che vogliamo, tanto più sarà probabile che lo otterremo. Ma affinché si centri l’obiettivo occorre che le richieste siano tali e non diventino pretese. Per evitare questo pericolo la formulazione di tali richieste non deve essere vaga, astratta o ambigua e espressa al negativo. Dobbiamo cioè avere chiarezza su ciò che vogliamo e non solo su ciò che non vogliamo. Una frase come “ Vorrei che tu smettessi di essere irresponsabile”  butta la persona in uno stato di confusione. Esplicitare invece azioni concrete, specifiche che l’altro possa intraprendere lo mette in condizione di capire meglio ciò che vorremmo da lui. Potrebbe essere vantaggioso anche provare a chiedere al nostro interlocutore un feedback per capire se siamo stati compresi, se la nostra comunicazione è stata efficace.  Le richieste saranno percepite come pretese se l’ altro crederà di poter essere incolpato o punito se non vi si conformerà. Non risponderà in questo caso con empatia alla nostra richiesta ma sentirà di essere di fronte a due possibilità: o sottomettersi o ribellarsi.  L’altro che è in relazione con noi impiegherà del tempo a percepire una eventuale inversione di comportamento se è stato abituato per lungo tempo a percepire le nostre necessità come obblighi da assolvere pena la nostra critica e il suo sentirsi in colpa o sbagliato.  Quando qualcuno si sente accettato solo se si adegua alle richieste dell’altro vorrà solo scappare.

Avremo una comunicazione empatica dal momento in cui riusciremo a liberarci dalle idee preconcette che sono nella nostra mente, dalla tentazione di valutare, di giudicare, di analizzare per farci un’opinione. Quando daremo spazio e tempo all’altro di esprimersi completamente rimanendo sempre “presenti”, connessi al suo sentire e ai suoi bisogni emergenti, tacendo il nostro pensiero interiore, frenando l’impulso prematuro di offrire opinioni, rassicurazioni, consigli o soluzioni. Il desiderio di portare aiuto a chi soffre o sta esprimendo un disagio può portare a non essere davvero presenti empaticamente tutto il tempo necessario. L’altro invece ha diritto si sentirsi libero di aprirsi fino a quando sentirà di aver detto tutto il suo percepito. Dopo aver ascoltato sarebbe buona cosa esprimere a parole ciò che pensiamo di aver compreso. E’ molto utile questo passaggio perché in questo modo l’altro viene rassicurato sul fatto di essere stato capito, ha la possibilità, specie se il nostro feedback finisce con una domanda, di precisare, correggere, aggiungere. Se riceveremo empatia e sapremo rispondere a nostra volta empaticamente le nostre relazioni saranno nutrienti e costruttive.